VALENTANO NEL MONDO, IL MONDO A VALENTANO (Pt. 4)

Quarta puntata: Arbeit macht frei a Valentano.

Il 27 Gennaio è entrato ormai da qualche anno nel calendario collettivo italiano come altre date storiche e religiose: televisione, giornali, social invadono la nostra quotidianità con servizi ed immagini per il “giorno della memoria” (memoria non solo di ebrei ma anche di dissidenti politici e altre minoranze osteggiate dal regime). Immagini forti ma lontane, o forse no?

La scritta all’ingresso di Auschwitz I

L’Alto Lazio  non solo ha pagato con il proprio sangue la sofferenza delle Deportazioni, ma ha ospitato alcuni campi di internamento: Montefiascone, Tuscania, San Lorenzo e Valentano sono tra i paesi che hanno svolto questo ingrato compito. In particolare il nostro ridente borgo è stato teatro di reclusione ai danni di molte minoranze (già citate) dal marzo 1940 al luglio 1943: nel primo periodo, caratterizzato da un’affluenza maggiore, si contavano 14 individui tra i quali circa la metà ebrei e per il resto dissidenti politici italiani, francesi, belgi e apolidi di origine russa. Nei mesi e anni successivi crebbe la percentuale degli internati di origine ebraica. A differenza dei campi limitrofi, come quello di Tuscania, la reclusione era all’interno del perimetro cittadino e prevedeva un sussidio giornaliero di £6.50 non sufficiente alla sussistenza dell’intero nucleo familiare; perciò venivano spesso contattati amici e parenti per provvedere al sostentamento materiale. Questa rete assistenziale, dopo l’Armistizio, fu sfruttata per intercettare gli ebrei sparsi sul territorio nazionale. Nonostante le restrizioni imposte ai loro danni (reclusione forzata, “appello” giornaliero davanti al Podestà, divieto di circolazione nelle strade e di frequentazione di ambienti cittadini…), gli internati riuscirono comunque ad instaurare un rapporto civile con la popolazione.

Ma c’è chi fece di meglio nel territorio valentanese: dal gennaio 1944 fino al momento della liberazione (14 giugno 1944) l’azienda agricola tenuta Mezzano, di proprietà dei conti Savorgnan-Brazzà e amministrata da Fortunato Sonno di Piansano, divenne luogo di rifugio per partigiani ed ebrei. L’avventura eroica iniziò nel gennaio del 1944 quando, su richiesta di Sonno, il colono Emidi ospitò la famiglia Servi di Pitigliano, più fortunata rispetto ai compaesani, deportati nei campi di sterminio. La famiglia iniziò così la peregrinazione da una grotta all’altra con il tacito consenso dei coloni. Curioso è il codice escogitato per comunicare eventuali visite sgradite nazifasciste: Fortunato Sonno avrebbe cavalcato un cavallo nero in caso di pericolo e uno bianco per segnalare, invece, la possibilità per i componenti della famiglia di uscire dal nascondiglio.

Nonostante la “lontananza” fisica da Valentano, molti valentanesi hanno dimostrato la loro la vicinanza umana nei confronti dei fuggiaschi pitiglianesi: il dottor Amoroso, per esempio, si recò presso la località Le Puzzole per medicare una giovane ragazza che si era ferita.

L’ulteriore dimostrazione di come la ragione e il buonsenso umani (al di là di etnie e bandiere politiche) abbiano, in realtà, vinto la guerra ancor prima che finisse.

Marta Mancini

Fabrizio Mancini

FONTI:

  1. Mancini, Fortunato Sonno: 1944 un Perlasca a Mezzano, in La Logetta, n.43, anno VIII, marzo2003, pp.17
  2. Mancini, Valentano. Per non dimenticare, in: “la Loggetta”, n. 49,anno IX, aprile 2004, p. 20
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