“Ti conosco, mascherina!”

Ti conosco, mascherina” è un noto modo di dire che ha origini medievali; con tale espressione si intende comunicare, in maniera scherzosa e ironica, a qualcuno – che pensa di imbrogliarci – di avere capito le sue vere intenzioni malgrado le finzioni e le simulazioni che ha adottato. La frase si usava un tempo, durante le feste in maschera, per annunciare a qualcuno di averlo riconosciuto nonostante la maschera che gli nascondeva il volto.

Durante il Carnevale il popolo, infatti, aveva l’occasione di rovesciare i ruoli della rigida società e perciò travestirsi da ricco anche se solo per qualche giorno e per gioco.

Una volta, infatti, il travestimento aveva uno scopo ben preciso: nascondendosi dietro ad una maschera e celando in questo modo la propria identità, ciascuno aveva la possibilità di comportarsi come meglio credeva e, soprattutto, come non avrebbe mai avuto il coraggio di comportarsi a viso scoperto.

La maschera, il Carnevale e il teatro

Antichissimo è l’utilizzo della maschera e il travestimento come uno dei riti che caratterizzano e governano il Carnevale: possiamo individuare nel Rinascimento e nella Commedia dell’Arte l’origine della tradizione che ancora oggi è caratterizzata da alcuni particolari e personaggi principali.

Alla fine del XVII sec. la struttura delle compagnie d’arte italiane si era fortemente semplificata.

Per rappresentare un canovaccio della Commedia dell’Arte, occorre che la compagnia sia composta di due Innamorati; di tre Donne: due per le parti serie e un’altra per la parte comica; di uno Scaramouche, napoletano; di un Pantalone, veneziano; di un Dottore, bolognese; di un Mezzettino e di un Arlecchino, tutti e due lombardi

Così scriveva Angelo Costantini, intorno alla fine del ‘600, per descrivere quello che per almeno due secoli sarà il genere teatrale dominante in Italia.

Questa citazione può essere considerata lo schema di base per una buona Commedia dell’Arte delle origini, ma, in realtà questa struttura veniva spesso adattata alle esigenze, modificata in base alle storie e cambiando il numero dei personaggi – anche se la disparità è una necessità strutturale della Commedia dell’Arte delle origini poiché il lieto fine e l’accoppiamento non erano mai definitivi per i personaggi interiori, ed uno di loro doveva restare celibe e beffato.

Quando nasce la Commedia dell’Arte?

Sappiamo che nel 1545 appare per la prima volta un documento che attesta l’esistenza di una “fraternal compagnia” di attori: una società artigianale con lo scopo di rappresentare spettacoli in territori diversi e lontani tra loro, la riscossione di guadagni a questa attività teatrale collegati e la ripartizione dei proventi. Altri documenti successivi menzionano la compresenza di compagnie comiche itineranti e di isolati buffoni che continuano l’antica tradizione Medievale di andare in giro nelle stagioni delle feste carnevalesche, delle ricorrenze cittadine e rurali, delle magnificenze organizzate dai Principi. Non sempre si tratta di professionisti che tutto l’anno sopravvivono grazie all’arte della recitazione: spesso gli attori danno vita a formazioni temporanee tornando dopo la stagione degli spettacoli alle rispettive attività artigianali e stanziali.

Il comico e l’osceno

Gli italiani costruirono il loro successo sfidando in teatro il comune senso del pudore di un pubblico che vedeva mescolarsi ai più popolari spettatori anche occhiuti censori.

Le Recueil Fossard, présenté par Agne Beijer… – fine XVI sec, Librairie Théatrale, Paris 1981

“Le loro commedie non rappresentano altro che pagliacciate e adulteri e insegnano il vizio a tutti i giovani, maschi e femmine […]; donne e ragazze mettono in mostra i sedi nudi, li fanno girare come fossero orologi […]”

Scriveva Monsieur Pierre de l’Estoile, funzionario della Cancelleria di Stato e nipote di un illustre membro del Parlamento francese.

Anche a Londra, i predicatori anticattolici se la prendevano con gli attori italiani per le stesse ragioni:

“Se siete padri perderete i figli; se siete padroni perderete i servi e se non siete nessuno perderete voi stessi, irretiti da questa scuola del vizio, rifugio dei ladri e teatro di tutte le oscenità”

E proprio andando contro questi scandalosi avvertimenti, la Commedia dell’Arte costruì il suo successo, facendo della trasgressione un veicolo pubblicitario capace di suscitare curiosità. (Non siamo cambiati molto dal ‘600…)

Piccola curiosità: Nel teatro dell’epoca era più che frequente che le parti femminili più vili fossero affidate agli uomini, perciò le scene di sesso più esplicite fondamentalmente erano recitate da un uomo e… Un uomo travestito da donna.

Le maschere principali, ovvero i personaggi più ricorrenti

Una delle maschere più antiche della tradizione cinquecentesca è Il Magnifico (veneziano), che fa parte della categoria degli “Zanni” (il nome deriva da una versione veneta del nome Gianni). Questi, generalmente, sono due: carattere pratico e intraprendente, intelligente e astuto, il primo; un po’ matto e/o stordito, indolente o distratto e spesso acrobata, il secondo. Ben presto la maschera di Zanni lasciò il posto ai “servitori” che avevano nomi propri che permettevano al pubblico di distinguerne le caratteristiche; tant’è che Il Magnifico prese il nome più celebre Pantalone.

Tra i servi astuti vanno menzionati: Brighella (Bergamasco), Beltrame (Milanese) e Frittellino (Ferrarese); Tra i secondi, ossia, quelli sciocchi: Pulcinella (Napoletano), Truffaldino e Mezzettino (interpretato e portato al successo proprio da Angelo Costantini).

Commedia dell’Arte à la cour de Charles IX – Frans Pourbus (Bayeux, Musèe Baron Gèrard) 1576

Gli “Innamorati” si distinguevano dagli altri perché generalmente operanti senza maschere e capaci di adoperare una lingua italiana colta: in altre parole l’italiano della lirica d’amore (Petrarca) e della novellistica (Boccaccio).

Per quanto riguarda le “Donne” vanno ricordate: Franceschina (tra le maschere più antiche della Commedia dell’Arte) e Colombina (Veneziana, talvolta anche con il nome di Arlecchina).

Nella classe de “I Vecchi” i più noti sono: Il Dottore/Balanzone (Bolognese) e Gianduja (Torinese).

Quanto a Scaramouche, si tratta in realtà di una delle maschere assunte dal personaggio del Capitano, di cui nel corso del tempo si conoscono numerose varianti.

Tra tutti, né “zanni”, né “innamorato”, né “Capitano”, né altro, c’è la maschera più stravagante e famosa: l’Arlecchino – personaggio inventato da Tristano Martinelli, nonché suo primo interprete.

Ovviamente la lista delle maschere non è così ridotta, nel tempo i personaggi si sono evoluti, sdoppiati e preso altri nomi in base alle necessità che il pubblico richiedeva..

Elisabetta Billi

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