L'(IN)CONTINENTE NERO

Capitolo secondo: Il Sudan del Sud, giovane e tormentato.

2.1      Caratteristiche generali.

Nato il 9 luglio del 2011, in seguito ad un referendum che sanciva la secessione dal “vecchio” Sudan, la Repubblica del Sudan del Sud è il più giovane dei cinquantaquattro Stati del continente africano e, probabilmente, anche uno dei più problematici.

Privo di sbocchi sul mare, si trova incastonato tra Etiopia, Kenya, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana e Repubblica del Sudan (nei confronti del quale esistono ancora alcuni territori al confine oggetto di contesa).

La capitale, Juba, conta poco più di 370.000 abitanti su una popolazione complessiva di 11.425.377 (stima 2016) frammentata in sessantaquattro gruppi etnici differenti in cui l’analfabetismo raggiunge livelli impressionanti. Le etnie più numerose sono quella Dinka (pari al 38% del totale) e quella Nuer (17%), rilevante è anche il peso degli Zande, i Bari e degli Shilluk ognuno dei quali si attesta al 10%. Gli abitanti di questo Paese sono stati di recente colpiti da una carestia e da una micidiale epidemia di colera e risiedono principalmente in aree rurali dove svolgono attività di sussistenza, afflitti da un tasso di mortalità delle nascite altissimo e da tutta una serie di problematiche legate ad un sistema sanitario precario spesso totalmente dipendente da istituzioni extranazionali.

Ciononostante il Paese è ricco di risorse naturali sia in superficie, come foreste e acqua in abbondanza che nel sottosuolo, tra le quali spicca la presenza del petrolio ma anche di molti minerali preziosi quali oro, uranio, diamanti e cromite. Tuttavia, come spesso accade in molti Paesi africani, queste straordinarie ricchezze non vengono efficacemente sfruttate dalle autorità governative a beneficio della collettività. Esse, inoltre, attirano portatori di interessi stranieri, in particolare Cina e USA (ma anche Brasile e Francia), che concorrono a complicare un quadro complessivo già piuttosto fragile.

Sì, perché il Sudan del Sud è un luogo che da quasi tre generazioni non conosce altro che guerre civili, l’ultima delle quali ha assunto le caratteristiche di un conflitto etnico (tra Dinka e Nuer), producendo numerose vittime e più di 2 milioni di profughi che si rifugiano quasi esclusivamente nei paesi limitrofi, in particolare Uganda (il 48,8%) ma anche nel Sudan del Nord (il 21,8%), in Etiopia (il 20%), in Kenya (5,4%) e nella Repubblica Democratica del Congo (4,1%). Assai di rado riescono ad approdare in Europa.

Perché, dunque, abbiamo scelto di parlarvi di questo Paese? Per due motivi: Il primo consiste nel fare luce su un concetto importante, la verità. Spesso i media non ce la raccontano in modo completo ed efficace. La realtà è che, al di là dei muri ideologici o delle barriere ai confini, non tutti i profughi africani riescono o vogliono raggiungere le coste europee. Come in questo caso, molti di essi, infatti, desiderano solo salvarsi dai giochi di potere di cui sono vittime e tornare alle proprie case non appena torni la pace.

Il secondo riguarda il concetto di “globalità” o meglio di concatenazione degli eventi. Il Sudan del Sud è lontano, è vero. Ma la sua instabilità e l’impatto di una gestione non etica della stessa potrebbe innescare una reazione a catena estendendo l’area del conflitto. Questo porterebbe ad aggravare ulteriormente la situazione di popolazioni sempre più vaste che se non trovassero soluzioni rapide per poter tornare in pace alle proprie case prima o poi le cercherebbero legittimamente in altri Paesi dove gli standard di vita sono più dignitosi. L’Europa, ad esempio.

2.2      La storia prima dell’indipendenza.

Prima di approfondire la questione inerente il conflitto etnico in atto che, ricordiamo, vede combattersi i Dinka e i Nuer, è opportuno ripercorrere brevemente la storia di questo giovanissimo e tormentato Stato. In effetti solo in questo modo è possibile comprendere le ragioni che hanno portato alla sua nascita e gli elementi che hanno concorso a determinare la situazione attuale.

Innanzitutto è utile tenere a mente che da un punto di vista meramente storico, le vicende di questo Paese sono visceralmente legate a quelle che riguardano la Repubblica del Sudan ossia lo stato con cui il Sudan del Sud confina a Nord e del quale ha fatto parte fino al 2011.

In linea generale la principale differenza che distingue il Nord Sudan dal Sud Sudan, riguarda la cultura:

  • il Nord è principalmente abitato da una popolazione di cultura araba e religione musulmana;
  • il Sud presenta tratti culturali di tipo sub-sahariano e differenti religioni di tipo animista che si sovrappongono ad un cristianesimo diffusosi in epoca successiva.

Inoltre è importante ricordare che la parte meridionale del Sudan pre-scissione per motivi prettamente geografici, non subì significative influenze e pressioni politiche dalla parte araba fino al XIX secolo. Proprio a partire dal 1800, si sono innescate una serie di dinamiche coercitive che difficilmente hanno portato ad una pacifica coesistenza.

Nello specifico si registrano dei tentativi di arabizzazione più o meno forzata sotto il dominio Turco-egiziano (1820-1882) e in seno al regno del Mahdi (1882-1898) un condottiero del Nord del Sudan che sconfisse il precedente regime ma impose la Shaaria, e la lingua araba anche al Sud.

Successivamente gli Inglesi subentrarono al Mahdi ed instaurarono un condomio Anglo-Egiziano (1899-1953). Essi, intuendo le differenze tra settentrione e meridione, dal 1930 gestirono in modo totalmente separato le due parti del Paese. In pratica, attuarono una vera e propria “segregazione amministrativa” che si estrinsecava nel divieto per le parti di intrattenere rapporti commerciali e nell’impedire lo spostamento delle persone.

Tuttavia, con l’avvicinarsi della prospettiva di una indipendenza che riguardasse l’intero Sudan (che avvenne nel 1955), con la Conferenza di Juba del 1947, l’élite politica araba del Nord trovò l’appoggio del governo Inglese (dapprima contrario) e riuscì ad imporre al Sud l’idea di dar vita ad un’unica entità Statale di tipo federale. Quest’ultima sarebbe stata raggiunta mediante la partecipazione politica di rappresentanti di entrambe le parti ad una assemblea legislativa.

Ma i patti non vennero rispettati dalla classe dirigente araba che, invece, sognava un ritorno al regno del Mahdi, centralizzato ed islamico, tutt’altro che federale. Banalizzando, possiamo dire che da questo punto in poi si innesca una serie di meccanismi che ha portato il Paese in uno stato di guerra quasi continuo, fino ad oggi.

La mancata realizzazione di una realtà statuale-amministrativa che garantisse un’adeguata autonomia rispettosa delle differenze culturali preesistenti, tra l’altro già dichiarata “sulla carta” nel 1947 con una visione di ampie prospettive, portò ad un malcontento diffuso. Questo sentimento presto sfociò nella Prima Guerra Civile (1955-1972) un terribile conflitto che perdurò 17 anni, provocando circa 500 mila morti, oltre a centinaia di migliaia di sfollati e profughi.

Prima di dare conto degli elementi puramente storici, relativi a questa lunga guerra, è opportuno ricordare una cosa molto importante: la parte meridionale del Paese (ossia l’attuale Sudan del Sud) oltre a presentare le già citate differenze di tipo religioso-culturale, è ricca di petrolio, di risorse minerarie e naturali (acqua, legna, avorio). Questo spiega il motivo per cui per molto tempo, il Nord continuò a voler tenere sotto il proprio controllo la parte meridionale del Paese.

Ciò premesso e sintetizzando al massimo gli eventi storici relativi alla Prima Guerra Civile, si può dire che dopo alterne vicende, i primi focolai di rivolta, inizialmente non ben coordinati tra loro a causa delle diverse appartenenze ai vari gruppi etnici presenti sul territorio, riuscirono ad organizzarsi in modo piuttosto omogeneo. In particolare le forze indipendentiste si riunirono nel South Sudan Liberation Movement (SSLM) che, alla fine, fece valere le proprie ragioni con una soluzione politica. Infatti, grazie ad un’intensa attività di mediazione svolta da importanti attori internazionali (All African Conference of Churches e di Haile Selassie, l’imperatore d’Etiopia) nel 1972 si giunse ad un accordo tra le parti in lotta. Tale accordo riconosceva alla regione meridionale del Paese un’autonomia più rimarcata che si estrinsecava nella costituzione di uno specifico organo con poteri legislativi e di uno con poteri esecutivi; a Khartoum (la capitale del Nord), restava la competenza in termini di Politica Estera e Difesa.

Però, gli attriti tra Nord e Sud, non si affievolirono. Si verificarono una serie di prevaricazioni dettate da scelte politiche che videro di nuovo lo Stato centrale, gradualmente esercitare pressioni crescenti verso il Sud.

Tra le cause ci fu la scoperta di nuovi giacimenti petroliferi rispetto ai quali, il Governo del Nord (tra i principali fornitori di petrolio della Cina) tentò in ogni modo di assottigliare le possibili rendite per il Sud, contando sul fatto che nel settentrione erano presenti praticamente tutti gli impianti di raffinazione del prodotto estratto dal sud del Paese. I tentativi si tradussero anche con una ridefinizione dei confini tra le due aree del Sudan ma non si fermarono a questo. Il Governo centrale, infatti, si spinse anche ad attuare politiche simili per lo sfruttamento di altre risorse naturali come l’acqua o le terre coltivabili fino a dichiarare lo stato di emergenza decretando lo scioglimento del governo regionale del Sud, imponendo la Shaaria e, come lingua ufficiale, quella Araba.

In breve il Sud costituì un movimento politico per la ribellione (SPLM – Sudan People’s Liberation Movement) che si dotò di un’appendice armata (SPLA – Sudan People’s Liberation Army) guidata dal colonnello John Garang reduce della Prima Guerra Civile. Fu così che esplose la Seconda Guerra Civile (1983 al 2005) che, ahimè, si rivelò se possibile ancor più cruenta della prima, registrando in 23 anni quasi 2 milioni di morti e 4 milioni di profughi. In effetti si tratta di uno tra i più disastrosi conflitti verificatosi dopo il Vietnam.

Ma il fronte dei ribelli non fu del tutto unito. Le cause sono ancora una volta, da ricercare negli attriti tra le diverse tribù ed etnie sud-sudanesi. In particolare si accesero forti contrasti tra i Dinka (quelli più numerosi) e altre tribù minoritarie che generarono fazioni di ribelli che, oltre a combattere lo Stato centrale di Khartoum, erano anche in conflitto con altri gruppi etnici del sud in rivolta.

All’inizio del conflitto anche il governo centrale vide l’accendersi di lotte intestine per il potere che terminarono nel 1989 con la solida ascesa di colui che ancora si trova ancora a governare: Omar Hasan Ahmad al-Bashir (accusato dal 2008 dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità e crimini di guerra per le questioni del Darfur, ma questa è un’altra triste storia).

Durante gli anni il SPLA estese il proprio raggio d’azione ed ottenne il supporto per la propria causa coinvolgendo dapprima l’ex Urss e, dopo la caduta del muro di Berlino, gli Stati Uniti che diventarono tra i più “generosi” finanziatori del Sudan del Sud (anche perché il Nord durante la prima Guerra del Golfo sostenne l’Iraq di Saddam Hussein). Entrambe le Super-potenze erano ovviamente interessate alle risorse strategiche delle aree in conflitto. Rispetto alla prima, il SPLA si presentò come un movimento in sostegno degli ideali marxisti per poi cambiare pelle e mostrarsi agli USA come l’unico strumento di contrasto alla crescente avanzata dell’integralismo islamico nell’area.

Il SPLA ottenne aiuto anche da Libia, Uganda, Etiopia ed Eritrea. Queste nazioni, ad eccezione della prima, fornirono anche truppe attive sul territorio sudanese e furono a loro volta finanziate dagli USA.

Nel 1998 si verificò una siccità che determinò una carestia con il conseguente inasprimento del teatro di guerra nei confronti del quale la comunità internazionale si mostrò sempre più sensibile, esercitando una crescente pressione per porre fine al conflitto armato, tanto che nel 2002 gli USA accusarono di genocidio il Sudan del Nord. Alla fine, nel 2005 si giunse alla stipula della pace che, tra le altre cose, prevedeva per sei anni una forte autonomia per il Sud, la distribuzione equa tra le parti dei proventi del petrolio e l’indizione di un referendum per la secessione. Quest’ultimo si tenne nel 2011 e decretò quasi all’unanimità l’indipendenza della Repubblica Del Sudan del Sud (circa il 99% dei votanti si espresse per la secessione).

2.3      Il Sudan del Sud dopo l’indipendenza.

Al momento dell’indipendenza il popolo del Sudan del Sud aveva ereditato una terra devastata da 56 anni di guerre ininterrotte. Le infrastrutture erano state praticamente annientate: mancavano strade asfaltate, ponti, ferrovie, i pochi aeroporti resistiti erano poco più che semplici piste di atterraggio. Inoltre, nei confronti del Nord esistevano ancora diversi conteziosi su alcuni territori al confine, tra questi c’è Abyej, particolarmente ricco di petrolio ma anche molto fertile, che dal 2008 viene amministrato congiuntamente.

La grande ricchezza dei giacimenti di “oro nero”, faceva sperare in una pronta ripresa dell’economia del giovanissimo Stato. Anche se, ricordiamoci che Il Sudan del Sud era praticamente privo di raffinerie, situate ancora tutte al Nord. Ciononostante la popolazione sembrava ottimista ed entusiasta.

Ma qualcosa andò storto. Infatti, ben presto, l’attrito politico tra il Presidente Salva Kiir (di etnia Dinka) ed il vice-presidente Riek Machar (di etnia Nuer) si trasformò nel 2013 in un vero e proprio conflitto etnico, costellato da crimini commessi da ambedue le parti. Da allora, nonostante diverse tregue mai rispettate ed una pace siglata ad Agosto del 2015 e stracciata dopo neanche un anno, la spirale di violenza non si è mai spezzata, anzi gli osservatori dell’Onu hanno dichiarato che si è molto vicini al genocidio.

La presenza di quasi 14 mila caschi blu viene limitata dalle truppe governative che riescono ad ostacolare o addirittura negare la distribuzione degli aiuti umanitari in quelle regioni in cui le popolazioni sono sospettate di sostenere Machar.

La guerra e l’instabilità hanno avuto anche effetti nocivi sull’intera economia del Paese. L’estrazione del petrolio è scesa da 245 mila barili al giorno (dato pre-conflitto) ai 160 mila di oggi e gli introiti vengono utilizzati praticamente in toto per finanziare l’acquisto di armamenti per la prosecuzione delle attività belliche. Praticamente un cane che si morde la coda.

In questo bagno di sangue si intrecciano i giochi politici di Kiir e Machar che promettono concessioni per l’estrazione petrolifera a USA, Cina e Francia o ad altri Paesi, a seconda della necessità finanziari legate al conflitto, di fatto ipotecando il futuro del Paese.

Gli esperti, in effetti parlano dell’attuale conflitto come di una guerra senza una soluzione certa e rapida in cui gli unici ad arricchirsi sono coloro che puntano alle risorse di un Paese inerme.

Tra l’altro è molto importante evidenziare che la Cina, con la sua compagnia la CNPC fortemente presente nel Nord del Sudan, importa dal 65% all’80% del petrolio prodotto dal Sud Sudan ed è in forte competizione nell’area con la Francia (Total) ed il Brasile (Petronas) e, come ovvio, ostacolata politicamente dagli USA.

2.4      Considerazioni Finali.

La Storia del Sudan del Sud ha evidenziato le criticità che ancora oggi il giovane Stato si trova a fronteggiare. In particolare una fragilità a livello di coesione socio-culturale delle diverse etnie. Questo elemento era emerso sin dai tempi delle guerre civili quando le varie popolazioni, pur insorgendo per una causa comune (l’indipendenza), non sono sempre riuscite a coordinarsi tra loro talvolta conducendo vere e proprie guerre intestine.

Il fenomeno si è ripresentato fino ad oggi ed è stato acuito dai giochi scellerati di potere di Salva Kiir e Machar. Questi, invece di preoccuparsi della disastrosa situazione economica del Paese hanno preferito seguire una logica egoistica ed egocentrica che ha trascinato la Nazione in una devastante guerra etnica che la sta indebolendo ancor più (se possibile). La situazione attuale, infatti, lascia il Sudan del Sud con il fianco scoperto rispetto all’ingerenza esercitata sia da Paesi extra africani che da quelli confinanti, alimentata ancora una volta dalla presenza di risorse preziose come il petrolio.

A questo punto è opportuno riflettere su un fenomeno che spesso si riscontra in molti Paesi dell’Africa: gli attriti interni tra etnie differenti rispecchiano le diversità localmente presenti in termini culturali, sociali e di credi religiosi. Quasi sempre questi attriti altro non sono che l’eredità del Colonialismo occidentale. Infatti, si parla di Nazioni in cui i confini sono stati definiti in base a rapporti di potere tra potenze coloniali e non sulla base della geografia “vera” o delle diverse realtà antropologico-culturali.

Dunque l’Occidente deve tenere a mente le proprie responsabilità storiche rispetto ai tanti “Sud del Mondo”, colonizzati in passato ed ora di nuovo depredati dalle multinazionali. In quest’ottica Terzomondista le aree povere continueranno ad essere instabili e sempre più povere e chi le abita continuerà a desiderare di fuggirle. Per quanto tempo ancora, potrà essere utile alzare muri per non vedere quello che l’Occidente ha concorso a determinare? Ai posteri l’ardua sentenza.

Raffaele Colantuoni Romagnoli

 

Fonti:

http://www.huffingtonpost.it/2017/06/29/africa-e-migranti-radiografia-di-una-fuga-inarrestabile_a_23007905/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/10/migranti-dallafrica-solo-economici-no-ecco-i-paesi-da-cui-si-fugge-e-perche/2010056/

https://it.wikipedia.org/wiki/Sudan_del_Sud

http://www.africarivista.it/sud-sudan-il-piu-grande-serbatoio-di-migranti-del-mondo/114776/

http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2017/08/17/news/uganda_e_qui_che_un_milione_di_sud_sudanesi_trova_rifugio-173241008/

http://www.lastampa.it/2017/06/19/medialab/webdocauto/le-ferite-aperte-del-sud-sudan-0wq1YkYuXxxgSDd9Zl6OnJ/pagina.html

http://www.unipd.it/ilbo/migranti-dove-perche

http://www.ilpost.it/2017/01/27/uganda-accoglienza-profughi/

http://www.vita.it/it/article/2016/07/12/sud-sudan-etiopia-e-crisi-dei-migranti-in-grecia-tre-duri-fronti-per-i/140124/

https://www.internazionale.it/notizie/2016/07/11/sud-sudan-perche-si-combatte

https://it.wikipedia.org/wiki/Prima_guerra_civile_in_Sudan

https://it.wikipedia.org/wiki/Seconda_guerra_civile_in_Sudan

http://www.ilpost.it/2017/11/05/sud-sudan-indipendente/

http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2017/04/14/news/sud_sudan_tra_guerra_e_carestia_qui_dove_i_bambini_mangiano_le_foglie_-162996375/

http://www.lineadiretta24.it/esteri/guerra-in-sud-sudan.html

https://lospiegone.com/2017/06/09/sud-sudan-il-percorso-verso-lindipendenza/

http://www.ambkhartoum.esteri.it/ambasciata_khartoum/it/i_rapporti_bilaterali/cooperazione_politica/storia

http://www.atma-o-jibon.org/italiano10/rit_albanese127.htm

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_michelucci2.htm

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_albanese81.htm

http://www.deagostinigeografia.it/wing/schedapaese.jsp?idpaese=324

http://www.ilpost.it/2015/07/09/sud-sudan-quattro-anni-indipendenza

Precedente Ass. Libero Pensiero Successivo VALENTANO NEL MONDO, IL MONDO A VALENTANO (Pt. 1)