L’(IN)CONTINENTE NERO

Capitolo primo: il cuore nero d’Africa

La Nigeria si trova qui:

 

e deriva il suo nome dall’aggettivo latino niger, nigra, nigrum, il cui significato (nero, scuro) è facilmente intuibile. Credo che mai etimologia fu più azzeccata: la Nigeria è il primo produttore in Africa di petrolio, l’oro nero, appunto ed il quinto fornitore di energia degli USA.

Che cosa sappiamo della Nigeria? Poco, vero? Più o meno la sua storia è uguale a quella di tutti gli altri Stati africani, ex colonie, e si può riassumere così:

  • 1914: la Gran Bretagna crea uno Stato federale con confini “artificiali” che racchiude più di 250 etnie, 36 Stati, culture e religioni diverse (tendenzialmente quella Islamica nel Nord e quella cristiana nel Sud-Est);
  • 1960: Indipendenza ma (ovvi) scontri etnici e secessioni (creazione del Biafra);
  • 1960/1999: guerre civili con colpi di Stato e regimi militari;
  • 1999: prima votazione libera ed elezione del presidente cristiano Olusegun Obasanjo del Partito Democratico Popolare.

Con l’avvento della democrazia la situazione non migliora: si succedono  presidenti cristiani e islamici che mobilitano guerre religiose in un territorio, fino ad allora, considerato  esempio di tolleranza e convivenza. Dagli anni 2000 si fa addirittura strada un’organizzazione terroristica jihadista sunnita, Boko haram (l’educazione occidentale è proibita) che miete, in 7 anni, circa 15mila vittime e porta  ulteriori disordini ed eccidi interni (nel gennaio 2017, addirittura, l’aviazione governativa è responsabile della morte di 50 civili, nel  tentativo fallito di colpire i terroristi a Rann, sul confine con il Camerun).

Quale è la causa di una situazione così precaria?

Cercherò di semplificarla senza andare troppo indietro nel tempo e fotografando lo status  attuale. Vi ricordate che la Nigeria era, nelle primissime righe, lo Stato africano più ricco di petrolio?

Bene, a questa ricchezza “oggettiva” non corrisponde una ricchezza “soggettiva”, cioè quella dei soggetti, dei nigeriani: il 70% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, l’aspettativa di vita è di 53 anni, la mortalità infantile sfiora il 143 per mille, 1/3 della popolazione è analfabeta.

Come è possibile(vi chiederete voi, giustamente)?

Circa 2, 53  milioni di barili di petrolio vengono prodotti al giorno in Nigeria. Purtroppo la stragrande maggioranza di essi finisce in contrabbando o nelle casse private della classe dirigente (si stima che dal 1960 al 1999 siano stati sottratti alla Nigeria circa 400miliardi di dollari). La rivista inglese “The Economist” ha ribattezzato la Nigeria come “la capitale mondiale del furto del petrolio” e nel 2014 il Presidente della Banca Centrale Nigeriana ha accusato la Compagnia Petrolifera Nazionale (NNPC) di aver sottratto allo Stato circa 12 miliardi di dollari. In questo scandalo sono coinvolti gli interessi delle principali multinazionali petrolifere tra le quali l’anglo-olandese SHELL e l’italiana ENI.

Nel 2011, infatti, le due compagnie europee stipulano un accordo per assicurarsi il più grande giacimento petrolifero in Africa (l’Opl 245, sul limite meridionale del delta del fiume Niger): 210 milioni di dollari alla firma e 1,2 miliardi ai proprietari della Malabu oil and gas, una ditta di facciata dietro cui sta l’ex ministro del petrolio Don Etete (già accusato di corruzione e riciclaggio). Peccato che neanche un dollaro finisce nelle casse dello Stato nigeriano e che, probabilmente, Eni e Shell sanno benissimo con chi stanno trattando.

Solo il 10% del petrolio estratto viene usato localmente: la Nigeria è costretta a comprarlo, ad un prezzo maggiorato, perlopiù, dai mercati internazionali (le multinazionali di cui sopra), non essendo sufficiente il numero di raffinerie e, quelle presenti, per la maggior parte, illegali (nel 2013 il governo ne ha fatte chiudere 134).

Conseguenze dello sfruttamento petrolifero sono state:

  • La paradossale mancanza di lavoro locale: le multinazionali assumono lavoratori specializzati stranieri (soprattutto europei e statunitensi), lasciando in balia della loro (inquinata –vedi oltre-) sorte i nigeriani;
  • l’inquinamento: lo sfruttamento irresponsabile dell’oro nero ha causato danni irreversibili per l’ambiente (1,5 miliardi di petrolio è stato rilasciato dall’apertura del primo pozzo della Shell ai primi anni 2000 e questo soprattutto grazie alla mancanza di manutenzione da parte delle multinazionali). Il delta del Niger, la “pianura Padana africana” ricca di petrolio già incontrata prima, è considerata una delle aree più inquinate al mondo dove incidenti petroliferi, land grabbing (acquisto di un terreno a bassissimo costo da sfruttare) e flaring (emissione di gas, di solito in prossimità di giacimenti) contribuiscono a mantenere questo triste primato. Anche in questo caso alla ricchezza oggettiva del territorio non corrisponde quella degli abitanti che, non essendo assunti dalle multinazionali e vivendo di pesca e agricoltura, hanno “perso”la loro fonte di guadagno e sono stati costretti a emigrare nei centri urbani e a vivere nella miseria (il delta del Niger incassa l’80% del ricavato nigeriano ma la sua popolazione vive con meno di un dollaro al giorno) Nel 2011 le Nazioni Unite si sono appellate alle multinazionali responsabili del disastro ambientale per bonificare le zone più colpite (con una spesa di 1 miliardo di dollari) con scarsi risultati (e, anche in questo caso, la nostra ENI è stata chiamata a rispondere in giudizio al mancato adempimento dell’impegno).
  • Urbanizzazione caotica: la popolazione senza lavoro e senza fonte di nutrimento (fiumi e campi inquinati) è stata costretta, come già accennato, a riversarsi in massa nei centri abitatati causando un fenomeno di inurbamento sconsiderato come a Lagos, capitale economica che conta 20 milioni di persone e vanta la presenza di baraccopoli prive di acqua potabile ed elettricità;
  • Ribellioni violente: conseguenza della disastrosa situazione economica e ambientale in cui è costretta a vivere la popolazione, è la rivolta. Le iniziali proteste pacifiche, sono state soppresse duramente dal governo e, perciò, sostituite dalla lotta armata che mira ad impossessarsi dei giacimenti petroliferi, sottraendoli alle multinazionali, per risanare il territorio. Il MEND (Movement for the Emancipation of the Niger Delta), ad oggi, è l’organizzazione armata più presente e responsabile di vari rapimenti di dipendenti di compagnie tra cui, nel 2006, anche tre italiani (lasciati liberi ed incolumi).

Nigeria, da niger. L’oro nero scorre in abbondanza. Ma grazie agli interessi delle multinazionali, al mutismo dei media  e alle disastrose conseguenze socio-economiche del colonialismo, solo il futuro sembra nero per la Nigeria.

Marta Mancini

 

Fonti:

Il land grabbing arriva in Europa – Limes

www.limesonline.com/il-land-grabbing-arriva-in-europa/47647

http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/eni-shell-la-nigeria-si-riprende-il-pozzo-cera-corruzione/

https://www.internazionale.it/notizie/marina-forti/2017/04/13/petrolio-nigeriano-eni-shell

http://www.ilpost.it/2015/01/25/nigeria-elezioni-boko-haram/

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